giovedì 15 febbraio 2007

Carlos Drummond De Andrade


Le parole ormai hanno sublimato il pensiero

Amor, come parola essenziale
dia inizio alla canzone e la sostanzi.
Amor guidi il mio verso e, nel guidarlo,
unisca anima e sesso, membro e vulva.

Chi osa dir di lui che è solo anima?
Chi non sente nel corpo l'anima espandersi
fino a sbocciare in un vivido grido
d'orgasmo, in un istante d'infinito?

Il corpo avvinghiato a un altro corpo,
fuso, dissolto, torna all'origine
degli esseri, che Platone vide completi:
è uno, in due perfetto: due in uno.

Integrazione a letto o già nel cosmo?
Dove ha fine la stanza e giunge agli astri?
Che forza qui nei fianchi ci trasporta
a quell'estrema regione, eterea, eterna?

Al delizioso tocco della clitoride,
tutto, ecco, si trasforma, in un baleno.
In un minuscol punto di quel corpo,
la fonte, il fuoco, il miele si concentrano.

La penetrazione via via squarcia le nubi
e svela soli tanto sfolgoranti
che mai l'umana vista ha sopportato,
ma, trafitto di luce, continua il coito.

E continua e si estende in tale guisa
che, oltre noi, oltre la stessa vita,
come attiva astrazione che si fa carne,
l'idea di godere sta godendo.

E in un patir di gaudio, tra parole,
anzi di meno, suoni, ansimi, ahi,
solo un piacere in noi raggiunge l'apice:
è quando l'amore muore d'amor, divino.

Quante volte moriamo l'uno nell'altro,
nell'umida caverna vaginale,
di quella morte che è dolce più del sonno:
la quiete dei sensi, soddisfatta.

Allora si instaura la pace. Pace di dei,
adagiati sul letto, come statue
vestite di sudore, grate per quanto
ad un dio aggiunge l'amor terreno.

Carlos Drummond De Andrade

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