giovedì 26 agosto 2010

Vita di San Dokan, protettore dei camorristi e dei loro cani da presa. Patrono di Casal di Principe

Vita: Nacque a Principis Casalis, una ridente e vivace, molto vivace contrada della provincia di Caserta, dove, più volte all'anno, si praticavano numerose e famose feste e ricorrenze popolari e religiose, quali la Caccia all'Extracomunitario, i "Fuocarazzi" sul Sacchetto, che illuminavano a giorno la città in modo spettacolare e impreziosivano l'aria con le fragranze che emanavano al loro ardere, il Parcheggio Minato, la Sagra dell'Eroina e dei Trip Paesani, il tutto finanziato e organizzato da una generosa famiglia nobile che governava il feudo, gli Schiavoni. E a capo di questa famiglia c'era lui, il conte Francisco, detto Dokàn, per la sua stretta somiglianza con un celebre giullare dell'epoca che portava questo nome, noto soprattutto per i suoi salti mortali, durante i quali era capace di castrare un maiale mentre quest'ultimo saltava insieme a lui. Francisco, giunto quasi ad età adulta, ebbe un'illuminazione: dopo un'estasi mistica in seguito a una copiosa dose di trip, in cui gli apparve Santa Barbara, protettrice dei kalashnikov, decise di ripudiare tutte le sue ricchezze e i vestiti e di diventare frate mendicante. Pensò, quindi, di far partecipare attivamente la popolazione all'organizzazione delle suddette ricorrenze religiose al solo fine di aprire la via della redenzione ai tanti peccatori della contea. Ogni giorno lavorativo, quindi, mandava dei suoi discepoli (tra cui figurava anche Pizzo, fatto santo da evangelisti apocrifi successivamente) a chiedere con grande gentilezza una piccola offerta agli artigiani e ai mercanti nelle loro botteghe, benedicendoli con parole celesti.

Martirio.
Mentre in principio le feste si svolgevano nel migliore dei modi, finanziate dalla popolazione redenta, col passar del tempo gli abitanti, non essendo riusciti ancora ad allontanare i loro animi peccatori dai beni terreni, cominciarono a rifiutarsi di elargire le offerte scatenando, così, ogni volta, l'ira divina. Le loro botteghe, infatti, cominciarono a incendiarsi successivamente ad ogni rifiuto. Non avendo compreso la causa di tutto ciò, il popolo ignorante lo martirizzò agitandogli contro immagini di Saviàn, il demone ribelle, causandogli la morte per crepacuore.

Iconografia.
E' raffigurato con un cane da presa affianco e una mazzetta di banconote in una mano.

nota: Questo santo, anzi, santone, è stato fatto tale solo in questi ultimi mesi, in seguito alla sua rivalutazione da parte di un sovrano martirizzato poi dai giudici che, in occasione della cerimonia di santificazione, per onorarlo ha offerto una poltrona in Parlamento al suo discendente.

Vita di San Buca, protettore dei tossici e degli alcolizzati. Patrono di Scampia

Nacque nel 1000 a. S. (avanti Squallor) da famiglia povera. Cominciò a bucarsi all'età di 5 anni, e all'età di 7 cominciò a commettere i primi reati per procurarsi i soldi per l'eroina, tipo rapinare la bancarella dei sciusciù, il gelataio, gli animatori per i bambini durante le comunioni, la maestra, i compagni di classe, etc. Ma una notte, in seguito a una crisi mistica, seguita da un'estasi divina, seguita da una diarrea perforante, mentre era ancora sul cesso a patire, a gemere e a tuonare... gli apparve Gesù vestito con una tonaca fatta di carta igienica che lo ammonì facendo librare nell'aere uno scopettino che schizzava acqua santa e gli consigliò di pentirsi e cambiare vita. Commosso da questa visione, perché, in fondo, era buono, giurò di non rapinare più, ma di procurarsi da solo la droga. Si specializzò, infatti, in raffinazione di stupefacenti e agraria estatica, regalando a tutti i tossici la droga. Ed applicò le sue conoscenze anche alla preparazione di infusi e distillati, fondando il famoso liquore che porta il suo nome: "Bevi San Buca Molinari, che se guidi son cazzi amari!"

Martirio.
Fu impalato ma, visto che provava piacere, fu perforato da decine di siringhe infette lanciate con l'arco da spacciatori della mafia che mal tolleravano la sua concorrenza spietata. Vangeli apocrifi vogliono che al suo assassinio avessero partecipato anche poliziotti desiderosi di torturare e ammazzare un giovane spacciatore esordiente.

Iconografia.
E' raffigurato con una siringa in mano e una bottiglia di San Buca Molinari dietro.

Vita di San Tal, protettore dei fruttivendoli. Patrono di Honolulu

Nacque a Napoli. Cominciò, poverissimo, come guaglione del fruttaiuolo dai fratelli Jannaccone. Fino a mettere su un grande mercato ortofrutticolo, in cui la gente veniva e prendeva la frutta gratis. E quando finiva la roba faceva la moltiplicazione delle percoche e del vino.

Martirio.
Fu ucciso per ordine del sindaco, perché la gente, presa dall'euforia del gratis, ad un certo punto mangiava solo frutta, e si cacava sotto ogni minuto, presa da una diarrea cronica, imbrattando così tutte le strade. Fu lapidato con le ananas.

Iconografia.
Raffigurato vestito da mascotte della banana chiquita, con un'ananas in testa, arma del suo martirio e simbolo del santo, e una banana dietro.

martedì 24 agosto 2010

Vita di San Pellegrino, protettore degli stitici. Patrono di Milano 2

Nacque nel 936 d. C. (dopo Cribbio) a Mediolanum (nome latino di Milano, che vuol dire "in mezzo all'ano") per Annunciazione celeste da famiglia di dubbia povertà (vangeli apocrifi anal-comunisti vogliono che sia stato partorito per via rettale, fuoriuscendo racchiuso in una bolla d'aria, e che suo padre facesse parte di una società segreta ebrea che riciclava denaro). Già da neonato diede numerosi saggi dell'attività che lo avrebbe caratterizzato per tutta la vita ed anche dopo la morte: produrre cagate stratosferiche ogni volta che profferiva parola o gemito. Il giorno stesso della sua nascita, infatti, dovettero cambiare dimora per consentire la disinfestazione della casa. Una volta, all'età di quattro anni, al mare, i genitori lo videro meditare su un altissimo scoglio. Incuriositi su come fosse riuscito ad arrampicarsi fin lassù e per la presunta precocità del loro figlioletto alla riflessione filosofico-teologica e già un po' persuasi della sua santità, si avvicinarono: si accorsero, però, che quello non era uno scoglio, bensì una montagna di merda che lo aveva innalzato al di sopra di tutti gli uomini man mano che fuoriusciva dal suo prodigioso deretano.
L'apparente condanna di Pellegrino aumentava di gravità con gli anni, isolandolo da tutto e tutti. Non aveva amici, non aveva una donna, non aveva un lavoro, una vita sociale. Ma questo suo problema si svelò ben presto come l'occasione della sua santità. Se ne servì per far del bene: notava che i suoi concittadini e le altre genti, forse a causa della cattiva alimentazione alto-medievale, non riuscivano ad evacuare il ventre con regolarità, anzi, nella maggior parte dei casi, restavano per circa due mesi senza riuscire a mondarlo delle sataniche scorie. Allora subito si industriò: creò un miscuglio composto da ostia consacrata ammuffita e vecchia di un anno apostolico, vin santo consacrato raccolto da calici a cui avevano attinto sacerdoti vecchi, sodomiti e affetti da peste e colera, il tutto condito da alito di parroco pedofilo segaiolo concentrato. Ne ricavò una polverina bianca da disciogliere in acqua santa e, a seconda dei diversi livelli di gravità della patologia, così prescrisse le dosi da somministrare: un'unghia del mignolo per stitichezza occasionale e lieve, per ottenere un effetto "espiazione", un cucchiaino da caffè per stitichezza più prolungata o giocherellona, con effetto "calamità d'Egitto" e un mestolo da cucina di monastero benedettino per i casi patologici di paralisi anale, producente l'effetto "Diluvio Universale". La chiamò Merdesia Sancti Peregrini e la distribuì a tutte le genti che incontrava. Da quel giorno tutti cagavano allegramente e copiosamente, sentendosi leggeri e leggiadri come puttini.
Pellegrino si guadagnò, così, un seguito enorme di fedeli, e fondò l'ODE: Ordine Degli Escrementini. Questi frati defecanti viaggiavano di città in città, vestiti soltanto di una tunica fatta di carta igienica e uno scopino da bagno in mano, a distribuire la magica polverina. Il loro provvidenziale arrivo lo si poteva avvertire nell'aria in anticipo, già un giorno prima, tanto era l'olezzo che esalavano e che santificava i luoghi ove essi transitavano. I campi aridi si fertilizzavano, la fauna proliferava al loro passaggio. Gli Escrementini erano, a ragione, i più amati della loro contrada, facevano del bene, davano preziosi consigli su come concimare la terra, amministrare la giustizia, la finanza, nascondere i tesori, tanto che la gente, spinta da una generosità incontrollabile, ripagò San Pellegrino con i soldi necessari a costruire una città santa a imitazione del Regno dei Cieli: Mediolanum Duo. Poi, un bel giorno, Pellegrino fu fatto re per acclamazione ed evacuazione di popolo, sostituendo, così, i tiranni e portando un'aria nuova e fresca alla politica del tempo (i soliti vangeli apocrifo-bolscevichi, che siano maledetti, sostengono, invece, che gli Escrementini fossero una banda di predoni internazionali che avrebbero tentato questa via per trovarsi al di sopra della legge). Da quel giorno tutta la contrada fu pervasa da tutte le sue cagate e quelle dei suoi discepoli. Tra questi emergevano due oratori eccezionali: il suo servetto personale, Emilio, detto, per i suoi pregi, La Fede, o anche Tergam Lingens, famoso per il suo mestiere di lubrificatore anale; l'eunuco cinese Min Zoh-Lin, che prima di ogni discorso del santo si genufletteva atleticamente e prolungatamente davanti a lui, e che lo sostituiva laddove vi era l'esigenza di garantire la sua onnipresenza. Costui, infatti, mentre Pellegrino era impegnato in una predica in un luogo, si recava in un altro più lontano per riprodurre perfettamente lo stesso discorso. L'aria, così, si fece salubre, ricca, prolifica, beata. Ogni sua legge calzava a pennello con le esigenze del popolo, unico scopo del suo santo mandato. E cominciò a fare miracoli. Quasi tutti si comportavano e ragionavano in armonia con lui: lui diceva che l'economia era florida e, nonostante non lo fosse, il popolo diceva che l'economia era florida; ordinava roghi per i giullari che parlavano male di lui e la gente, miracolosamente, era d'accordo; svelava, piangendo, di essere vittima di continue congiure e di non avere alcun potere temporale, ma solo quello dell'amore e della fratellanza, ed improvvisamente la platea veniva sommersa da lacrime di commozione di tutti e da cagate di ammirazione.

Martirio.
Fu annegato nei suoi stessi escrementi da sicari di sette stitico-comuniste atee rette da giudici ai quali non faceva effetto il suo filtro, invidiosi per non essere capaci di produrre quelle cagate così spettacolari.

Iconografia.
È solitamente raffigurato col tradizionale abito del suo ordine e con un escremento pendente dalla bocca.

lunedì 23 agosto 2010

Vita di San Pei, protettore dei pescatori. Patrono di Pozzuoli

Di famiglia proto-palestinese, nacque a Betlemme nell'un secondo d. C., nella grotta affianco a quella in cui era nato, lo stesso giorno, un israeliano, tale Gesù, dai coniugi Cristo, ma il cui padre era l'Innominato. Ma mentre dai Cristo c'erano un bue e un asinello che esalavano aria condizionata calda, a riscaldare Pei c'erano un porco e un piecoro dall'alito fetido di denti cariati. Mentre dai suoi vicini lo sterco degli animali veniva spalato ogni giorno dalle ali dell'Angelo Custode, da lui vi erano sempre montagne di merda che il padre doveva spalare con grande pena, perché, tra l'altro, il porco e il piecoro soffrivano anche di dissenteria. La madre era una prostituta, il padre non era il padre bensì un cornuto che un bel giorno aveva ricevuto l'Annunciazione dall'Arcangelo Gabriele, noto “capero” del luogo, che gli diede questa novella: “Annunciazione, annunciazione! Tu, Toni', Toni', farai il figlio di Salvatore! Annunciazione: si proprio 'nu curnutone!”
E in quei giorni c'era un andirivieni spaventoso nella grotta dove era nato Gesù. Accorrevano tutti i pastori, i contadini, i mugnai, gli artigiani, i politici, le prostitute, le trans, i preti, pedofili e non, a vedere il bambino e a portargli i cesti natalizi e altri doni: chi gli donava un prosciutto, chi un capretto, vino Cabernet, spumante, formaggi e salumi, cicoli e ricotta, panettone, pandoro, sciuscelle, struffoli, insomma tutto il ben di suo padre. Vennero addirittura tre marrucchini venuti dal lontano Senegal con le collanine d'oro pezzotte, le essenze per la casa e il trip. Ma la grotta in cui era nato Pei, invece, era desolata, triste e, soprattutto, puzzolente. E i suoi poveri genitori si consumavano dalla rabbia nel vedere tutti gli altri così allegri, nell'estasi del trip, a ingozzarsi, ubriacarsi, addobbare le strade con pisellini giapponesi colorati, fare il trenino di capodanno, sparare i botti, soprattutto grazie al buon fuochista dell'Angelo Custode, le cipolle, i fuochi pirotecnici, che creavano nel cielo una specie di grande cometa, rompere le palle a Benito accendendogli un track nella grotta, il tutto sulle note di alcuni zampognari jazz zingari che intonavano canzoni celebri dell'epoca rivisitate, come "M''e fatto senti' 'e stelle", "Bianco Rinal", "'O trip è bello". L'unica apprensione che ebbero per Pei fu di intonare la famosa hit di un gruppo di menestrelli di quel periodo, gli Squ'Al Lohr: "Cornutone". Il loro cenone, quindi, era composto da pane e veleno.
Trascorsero gli anni, e le ruspe evangeliche gli abbatterono quella fetente di grotta, mentre il suo vicino passava le giornate ad esibirsi in giochi di prestigio per farsi buffone davanti alle ragazze, accompagnato da 12 tra assistenti e pali, vestiti e conciati in modo alternativo, tra i cui numeri c'erano il gioco delle tre carte e il morto che resuscitava (e tra gli assistenti vi era uno che lo avrebbe poi tradito, rubandogli il numero dell'ipnosi, il cui nome era Giucas Ichellota). La gente accorreva ogni volta copiosa, ma Pei, che aveva passato anni e anni di miseria, di ingiustizie e di umiliazioni, disgustato e accecato dall'invidia, ignorava tutti loro.
Un giorno si recò sul fiume Giordano a meditare e a rilassarsi. Noto era, infatti, questo luogo, per la pace ed il silenzio in cui era immerso, caratteristiche decantate anche dallo slogan di una nota agenzia di viaggi dell'epoca: “Vacanze sul Giordano, un luogo così tranquillo che puoi fartelo anche in mano!” E così fece. Ma, arrivato nel momento clou, udì, ad un tratto, degli schiamazzi infernali. Turbato, scrutò verso l'altra sponda: era Gesù che aveva appena ricevuto un gavettone da suo cugino, molto avvezzo a scherzi del genere. Gesù, adesso, lo inseguiva gridando: "Giua', si t'acchiappo te faccio 'o culo comm'è l'arca 'e Noè!". Allora, col sangue agli occhi, Pei noleggiò un pedalò, spendendo tutti i pochi soldi che aveva, e si diresse lì per bastonarli con un randello. Ma, arrivato dove l'acqua era alta, all'improvviso, una trota di due miglia, modificata geneticamente dai rifiuti tossici gettati lì da industrie rabbine, saltò fuori e gli sputò in faccia. Ormai all'esaurimento nervoso, promise a sé stesso che l'avrebbe pescata e lasciò perdere momentaneamente gli altri due. Si costruì una canna da pesca e, dopo un mese di fatiche, finalmente ci riuscì. Quindi, colmo di gioia, si precipitò in paese ad esibire l'enorme pesce a tutte le belle ragazze, ma Gesù aveva appena moltiplicato i pani ed i pesci, anche quelli degli apostoli, per la gioia di tutte le donne, con complicatissime operazioni logaritmiche con x tendente a Dio. A questo punto Pei prese la decisione di affrettare i tempi della Bibbia: caricò il kalashnikov acquistato in offerta in un centro commerciale di un'azienda americana, meditando il delitto.
Ma una notte, preso da convulsioni da indigestione di cannolicchi, in estasi mistica, gli apparve l'Arcangelo Gabriele che montava un Ratzinger alato e gaudente, e gli rivelò l'ultima notizia di gossip (parola biblica che indica "i cazzi personali dei vip della Bibbia"): Gesù era figlio del Dio americano (infatti non si spiegava come fosse nato biondo con gli occhi azzurri da genitori dalla pelle color tronky). Lo ammonì, perciò, dicendogli che era inutile e sbagliato sfidare le sacre leggi della raccomandazione. Così, la sera dopo si inginocchiò davanti a lui, che si trovava con i compagni nella villa comunale di Gerusalemme, dove si teneva un festival jazz (in aramaico "Jazzemani"), si pentì, si convertì e lo invitò a una grande mangiata di pesce, invito che questi dovette, però, rifiutare perché si era già organizzato con gli amici per l'ultimo panuozzo di Gragnano, in Galilea, uscita Samaria ovest, nei pressi del Mar Sarno, detto Mar Morto per ovvie ragioni di inquinamento (dove, ricordiamolo, si ubriacarono in modo spaventoso, e Gesù fu colto da allucinazioni e manie di persecuzione).

Martirio.
Divenne il pescatore più bravo del paese (soprattutto dopo la morte di Gesù, martirizzato per aver ordinato un panuozzo non azzimo con porchetta completa, carne vietata agli Ebrei). Siccome, però, nel Giordano scarseggiavano le cozze e la domanda era alta, contrabbandieri le importarono dal Granatello, noto porto del Golfo Persico, inquinato dal petrolio. Scoppiò quindi un'epidemia di colera e stitichezza al tempo stesso e la gente diede la colpa a lui. Gli fu tagliata la testa con un pesce spada da lui pescato per ordine del re Erode Netanyahu.

Iconografia.
E' solitamente raffigurato col pesce in mano.

mercoledì 14 aprile 2010

venerdì 26 marzo 2010

Pace Coniugale

“Ciao, Mario!”gridò, appena lo scorse con la coda dell'occhio.
“Oh, ciao, Alberto! Come va?”
“Tutto bene, non mi lamento. E a te come va?”
“Tutto bene. Da quanto tempo! Un sacco di volte mi sono domandato 'Chissà che fine ha fatto Alberto, che sta facendo!' Certo che ci siamo veramente persi di vista!”
“Eh sì, e che vuoi farci, è la vita e i suoi problemi.”
“Ma ti rendi conto di quanto tempo è passato? Non mi sembra vero! E devo dire che non sei cambiato tanto.”
“Beh, forse hai ragione. Me lo dicono in molti. Tu, invece, un po' sei cambiato, ma nonostante ciò ti ho riconosciuto subito. L'espressione del viso in fondo è rimasta immutata.”
“Ah, sì, trovi? E cosa fai adesso nella vita?”
“Lavoro in banca. Sono laureato in Economia e Commercio.”
“Ah, bene, bravo. Sono contento per te. Io, invece, mi sono laureato in Biologia, adesso lavoro, ahimè saltuariamente, in un laboratorio. E che vuoi farci, è dura.”
“Lo so, lo so. Bisogna rassegnarsi.”
“Certo che anche il tuo stile non è cambiato, sempre elegante, classico. Ed anche le movenze, sempre composto, quasi regale...”
“Ah, ah, ah! Trovi? Va be', in un certo senso... Tu, invece, ti vedo piuttosto informale, diciamo casual.”
“Trasandato, vuoi dire?”
“No, no, sei rimasto... giovanile, ecco.”

(Continua..)

Fine delle trasmissioni

Disse il televisore al cesso:
“Io, in una casa, sono più amato di te!”
“Ah sì?” disse il cesso, “E perché mai?”
“Io regalo allegria” rispose il televisore.
“Anch’io” disse l’altro.
“Tu non mostri spettacoli e reality!”
“Pfui!” disse il cesso facendo seguire il rumore dello sciacquone per lo sdegno, “E questa la chiami allegria?”
“Perché, tu cosa offri?”
“Un grembo su cui sedersi comodamente e in cui liberarsi delle pene interiori!” disse poeticamente.
“Sei un imbecille, che cazzo di allegria è, è solo merda e piscio!”
“Sei sempre volgare, non ti smentisci mai.”

lunedì 22 marzo 2010

Californication

Psychic spies from China
Try to steal your mind's elation
Little girls from Sweden
Dream of silver screen quotations
And if you want these kind of dreams
It's Californication

It's the edge of the world
And all of western civilization
The sun may rise in the East
At least it settles in the final location
It's understood that Hollywood
sells Californication

(Continua..)

sabato 20 marzo 2010

Fuori luogo

Tra luci soffuse che ammorbidiscono l'aria, i gazebo, a imitazione di palme tropicali, ricalcano ed imprimono nella mente e sulla pelle le dolci sensazioni che l'estate, puntualmente, mi spalma addosso. Sono allineati tutt'intorno alla piscina che, con la sua acqua luminosa, impreziosisce l'atmosfera. Mi siedo su uno dei divanetti bianchi e soffici sotto uno di questi, a sorseggiare un drink.
Mi rompevo le palle di venire qui, prevedevo di non sentirmi a mio agio, ma invece... eccomi. Ma forse non è mica poi così male. Nuovi colori mi sorprendono, nuove sensazioni. Mi rilasso e chiacchiero con gli amici, rido, sto in pace. La musica ci accarezza pian piano, è ancora d'introduzione alla serata, funge da antipasto.
E poi le donne: sorrisi smaglianti, accoglienti, capelli al vento che massaggiano delicatamente spalle già abbronzate (anche essendo soltanto l'inizio di giugno). Dolci seni quasi tutti scoperti, con disinvoltura, senza vera malizia. Cosce lisce, fresche, dorate, che ti passano e ripassano davanti, allegre e vitali, ritmando la scena col tip tap dei tacchi alti. E il profumo della loro pelle ti inebria appena appena. Leggerezza e sensualità. I loro occhi luccicano illuminando l'aria di allegria.

Fine mese

Era stata la solita giornata del cazzo, epilogo di una settimana del cazzo, a sua volta epilogo di un mese dello stesso tipo. Tra vagabondaggio, curricula e uffici postali, con il freddo umido che entrava nelle ossa, questo periodo della mia vita non aveva ancora acquisito un po’ di sapore. Aveva lasciato, per ora, soltanto un senso di insipido, annacquato, dai leggeri sentori di acre. Ero sazio di cibo pessimo, mandato giù stoicamente con grande sforzo, ma che prima o poi bisognava vomitare o cagare. Mi erano rimaste in mente solo carte, carte, carte, dall’odore freddo e amaro, mi sembrava di essermi fatto spazio fra di esse per tutto il mese, nient’altro. E per cosa? Per niente. Già sapevo che il seminare carte dappertutto, per tutto questo tempo, tra gente che ti diceva nulla, che sapeva di nulla, sarebbe servito a raccogliere il nulla. Tuttavia continuavo a perseverare, non so perché, forse per veder eretta la mia piccola torre di speranze, messe lì come pezzi di costruzioni per

venerdì 19 marzo 2010

Lettera dall'ombra

Cara mamma,

non so se ti arriverà mai questa lettera, sai com’è, qui regna un clima pacifico, contemplativo, si richiede il silenzio proprio per consentire alle pecorelle smarrite di ritrovare la via, pertanto sarà difficile comunicare con l’esterno ed è vietato rivelare cosa succede all’interno. Siamo in clausura, è chiaro. Com’è la vita qui? Come sempre, si vive insieme, insieme alle altre pecorelle, ci sono orari fissi per mangiare, fare la doccia, lavorare, passeggiare. E poi non ti preoccupare, quelle più peccatrici vengono isolate da noi, non abbiamo alcun tipo di contatto con loro, altrimenti verremo distolti dalla retta via che dobbiamo perseguire. Un prete viene ogni giorno a farci fare la confessione, ci ricorda i nostri sbagli, ci fa capire che la nostra è una penitenza necessaria, dobbiamo accettarla di buon grado perché è giusta, commisurata allo sbaglio commesso, ma allo stesso tempo ci ricorda che siamo qui per rimediare a tutto, infatti c’è un rimedio a tutto per ogni buon cristiano. Un giorno, infatti, saremo finalmente più onesti, sereni, innocui, vivremo meglio nel mondo, avremo finalmente capito i nostri sbagli.

mercoledì 10 marzo 2010

Il racconto di Usim

Usim era il giardiniere del sacro albero del tempo e del destino nel lontano regno di Amor. Usim apprezzato e rispettato in tutto il regno. Le sue doti erano diventate leggenda. Un giorno la terribile sovrana iniziò ad avanzare dubbi sulla sua bravura, allora Usim iniziò a chiedersi: e se non fossi bravo così come si narra? E se la gente dopo tanto tempo non mi apprezzi più come una volta? E se magari alla gente piacesse che apportassi qualche modifica al mio stile?

E così Usim si convinse che “la gente” dovesse poter esprimere il proprio parere sul suo operato, perchè ad Usim faceva piacere piacere alla Gente.

Allora decise di recarsi al mercato del giovedì ed inizio ad ascoltare gli abitanti del regno, intenti a fare provviste, ascoltò un uomo che diceva ad un altro:

- “Caro concittadino a ben vedere non ho da ridire sull’operato dell’eccellentissimo Usim, ma se proprio devo essere sincero gli direi di sfoltire un po’ la chioma inferiore dell’albero, darebbe una forma decisamente più slanciata”

Il giorno successivo Usim si recò dall’albero e come ascoltato dall’uomo del mercato sfoltì la chioma inferiore dell’albero, non era convinto del risultato ma credeva che così facendo avrebbe di certo fatto il volere della Gente. Convinto della pratica il giorno dopo tornò al mercato ed accostandosi ad un gruppo di lavandaie iniziò ad ascoltarle.

- “Chi altro lo può sapere se l’albero è ben curato se non l’eccelso stesso? Però se devo essere sincera gli direi di tagliare tutti i rami che sporgono dalla sagoma dell’albero per più di otto pollici.” e l’altra: “Io gli direi di strappare tutti i rami che hanno più di tre lune” ed ancora un’altra decisa: “Andrebbero eliminate tutte le foglie che abbiano meno di cinque gelate.”

Usim facendo tesoro delle voci andò via.

Di buon mattino si avviò al cancello del giardino reale e mise in pratica ciò di cui il giorno prima aveva fatto attento bagaglio. Ora sentiva che stava piacendo sempre di più alla GEnte. Voltò le spalle ed andò via.

Il terzo giorno decise che si sarebbe cimentato per l’ultima volta nel prezioso ascoltare, dato che secondo lui il suo operato gli permetteva di ingraziarsi i favori della dispotica sovrana.

Guardando un gruppo di fanciulli vi si avvicinò; prese ad ascoltare le loro confidenze che dicevano più o meno così:

- “Guardando quell’albero mi viene da pensare che si potrebbe fare di meglio spogliandolo di tutto il suo fogliame, sarebbe di sicuro più austero”

Usim tronfio aprì il cancello con la pesante chiave di ferro ed impugnando le cesoie tagliò tutte le foglie. Il sole era ormai basso quando Usim si voltò per guardare il risultato del suo lavoro, frutto dell’attento ascoltare la GENte. Lo colse un sussulto di spavento. Il sacro albero era ormai spoglio e senza vita; ricordava solo l’ombra dello splendore che era stato. Allora Usim preoccupato si recò ancora una volta al mercato, per sentirsi almeno rincuorato dai pareri della GENTe, ma non era così, ognuno ormai disprezzava Usim per il suo orribile lavoro. La sovrana che ormai non poteva essere più sorda alle lamentele della popolazione decise di arrestare Usim.

Il giardiniere avendo sentito delle intenzioni della sovrana cercava qualcuno che potesse risollevarlo dalla sua disgraziata sorte, ma purtroppo nessuno spendeva parole per il povero Usim, nessuno era disposto a sostenerlo nella sventura. Allora il sommo giardiniere si recò da chi era stato sempre suo consigliere attento e magnanimo. Aprì velocemente il pesante cancello e seduto sul muro che faceva da recinto all’ormai defunto albero trovò un pargolo che iniziò dicendo:

- “Sommo Usim a te va il mio saluto. Accomodati al mio fianco ed esponimi ciò che ti rende un uomo triste.”

- “Non so chi tu possa essere dato che non ti ho mai visto, io volevo parlare con il mio defunto amico ma dato che ho trovato te che sei l’unico che mi possa dare ascolto in questi miei ultimi attimi di uomo libero, ti dico, la mia sventura è nata da quando ho iniziato a dare ascolto alla GENTE, lo facevo per sentirmi accettato, per fargli piacere, ma ora che sono nella sventura e che ormai il mio albero risponde alle loro aspettative sono solo.”

Il bambino magnanimo continuò:

- “Eccelso, l’albero ti era stato assegnato dalla divina volontà universale, e tu cosa ne hai fatto?! La voglia di accondiscendere ai voleri della GENTE ti ha reso cieco, e ti ha spinto a tagliare ogni giorno qualche ramo, una foglia, dei frutti; ora non hai più nulla. E della gente che tanto volevi accontentare?! Nulla. Sei solo nel dolore.

Le guardie della regina portarono via Usim. Fu rinchiuso nella torre del germoglio che dava direttamente sul giardino e come maggior supplizio egli dovette guardare, per ogni giorno che gli rimaneva da vivere,  il sacro albero che ormai aveva ripreso a rifiorire.

La morale non so se ci sia, dite la vostra che io ho detto la mia.